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Planando

L'isola vista dal promontorio è un'arazzo che la natura e l'uomo hanno tessuto a quattro mani lungo un tempo infinito guidati, forse, più dal caso che dalla ragione. Nella preziosa trama di questo racconto vivente i boschi dominano la scena: sono i riccioli scomposti sulle cime delle alture che si elevano tenaci dal mare, i ruvidi maglioni fatti dalla nonna che proteggono le loro robuste spalle dagli artigli di nuvole plumbee, i calzari che ornano le scogliere, eterne compagne di gioco delle onde. Su questo sfondo che respira senza sosta al ritmo della brezza salmastra, altezzose ville fanno bella mostra di sé in bilico su strapiombi, civilizzati uliveti ammiccano a selvaggi mantelli di macchia mediterranea, lettini e ombrelloni attendono la fine della stagione mantenendo obbedienti le geometriche posizioni a loro affidate su piccole falci di rena rosa, soffici resti di antichi contrafforti di granito. Qua e là, la poesia è punteggiata da piccole concessioni all'utilit
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Cieli

Da come sprona il suo cavallo quel cavaliere sembra avere una gran fretta, il lungo collo tutto teso in avanti, la lancia e il braccio che la regge a stento rimangono attaccati a quei corpi che paiono saette. Chissà che dispaccio importante giace in quella borsa, affari di stato o magari di cuore? Mah! Impossibile dirlo. Ma deve stare attento il cavaliere, attento che uno di quei balzi poderosi non la facciano cascare quella borsa, non se accorgerebbe di sicuro e il dispaccio sarebbe così perduto per sempre con conseguenze, anche queste come il suo contenuto, inimmaginabili. Mi rendo conto solo ora che davanti al cavaliere giace un mare immenso e, come sembra dirci l'intensità del suo blu, profondo, molto profondo. Lunghe barbe di schiuma vaporosa rimangono impigliate nelle zolle di terra e nel brillìo del verde che l'erba medica riverbera generosa. Cosa conta di fare quel pazzo, spingere il suo destriero indiavolato e galoppare sulla quella superficie di cobalto come se nulla

La prima escursione di Giovanni

Giovanni non riesce a chiudere gli occhi, la stanza è buia, nella casa c’è ancora silenzio. Certamente il babbo e la mamma dormono ancora. Altrimenti avrebbe sentito gli appena percettibili rumori che fa la mamma quando si muove per preparare la colazione. Appoggia dolcemente la tazza sul piano della cucina, il cucchiaino, apre lo sportello dei biscotti, facendo la massima attenzione, ogni mattina, per non farsi sentire. Ma i superpoteri di Giovanni fanno sì che, dalla sua camera, lui sappia, sempre, esattamente cosa la mamma stia facendo in quel momento. Non si sente ancora il buon odore di caffè che riempie la casa e rende ancora più piacevole il risveglio. E’ evidente che dormono ancora tutti e alla fine, Giovanni sa, che si farà tardi. Ha sentito un sospiro, qualcuno si muove nel letto. E’ suo fratello Giacomo. E’ tornato da poco, e lui sì che dorme, ha fatto tardi come tutti i sabato sera. Tanto poi dormirà fino a mezzogiorno. Lui non verrà con noi. Non ha voglia. Sono due notti c

Energia pulita

Ed eccomi a casa, appena rientrato da una importantissima missione: pulire il Mondo! Ad essere onesti, nella realtà io mi sono limitato ad accompagnare ventuno giovanissimi supereroi che, loro sì, hanno portato a termine la missione con una dedizione a dir poco travolgente. Dopo la breve presentazione di Mauro che a scuola ha elencato i differenti tipi di rifiuti e i relativi tempi di degradazione nell'ambiente, la squadra è uscita in paese armata di guanti, sacchetti e di un'inesauribile energia, l'elemento decisivo. Non appena è stato dato il via alla caccia e il piccolo plotone si è impossessato dei lati della strada, per i rifiuti non c'è stato scampo.  Avete presente quei grandi formicai perennemente circondati da nugoli di operaie indaffaratissime, ognuna con un prezioso nonsoché tra le zampine da portare senza indugio in posto preciso? Ecco, è proprio così che si sono trasformate le vie di Quercegrossa adiacenti la scuola elementare. Con una differenza però: le f

Abruzzo - agosto 2024

Siamo tornati in Abruzzo, pronti ad assaporare cose viste e conosciute. Il viaggio è lungo, strade tortuose, paesi arroccati, sospesi. Nello spazio e nel tempo. Arriviamo a destinazione come i velocisti nei tapponi di Montagna, appena entro il tempo massimo. Maurizio ci aspetta, ci aiuta a raggiungere l’albergo. Il mattino dopo ci aspetta l’escursione più difficile. Il tempo della cena, Zuppa di Fagioli e Orapi (dovrebbe suonare tipo “zup’e de Fasol’e cull’orap’e) e Arrosticini di Benvenuto e subito dobbiamo affrontare il “grave” problema del pranzo al sacco. A Civitella Alfedena il pane arriva due volte a settimana!! Si risolve, partiamo un po’ più tardi. Diamo le radioline agli accompagnatori, e alla Guida, Maurizio. Lui la guarda perplesso. Si parte. La salita, appena usciti dal Paese, è subito ardua. Il gruppo si muove al solito in fila indiana. Le soste per fortuna sono frequenti e ben gestite da Maurizio che ad ogni fermata racconta… Ma non usa la Radio!! NON SI SENTE!!?!! IN FON

Komorebi

Komorebi è una parole giapponese il cui significato può essere approssimativamente tradotto con "luce del sole che filtra tra gli alberi".   Ecco, questa mattina mi sono sentito un po' come quella luce, lo stesso determinato desiderio di guardarmi intorno, di intrufolare il mio sguardo in tutto ciò che mi circondava, un desiderio intenso, che la bellezza degli scorci rendeva a tratti avido, ma al tempo stesso, proprio come il sole nell'attimo in cui fa capolino da dietro l'orizzonte,  timido, sospeso, quasi fosse un ospite che sa di presentarsi inaspettato ad un orario inusuale. E così, trattenendo il mio sguardo entro i limiti del garbo che il mio status di ospite imponeva, ho potuto spiare le vigne mentre si svegliavano. Niente a che vedere con noi umani le vigne quando si svegliano: ordinate, perfette, senza bisogno di pettine né di trucco, pronte all'appuntamento con il sole che non a caso quando bacia ha una preferenza per i belli.   Più in là, dove i pro

Dialogo celeste

  Ad un certo punto, senza un particolare motivo, mi sono alzato dal tavolo, ho arraffato un paio di triangoli di cocomero e ho puntato con flemmatica determinazione il buio, al di là delle pozzanghere di luce artificiale che bagnavano l'allegria che serpeggiava per i tavoli. Il buio di campagna è diverso da quello di città, libera fantasie più infantili, è popolato da creature più strane e percorso da silenzi più acuti. Anche qui però, come in città, il buio non prende iniziative; è solo la tua paura a decidere se ti terrorizza o ti protegge.   L'aria mi è sembrata più fresca al buio; forse era solo suggestione, ma ci ho creduto volentieri e sono rimasto. Da lì, l'allegro brusio degli escursionisti era piccolo piccolo, poco più che un indistinguibile sottofondo ed è stato facile guardarsi intorno, assaporando il piacere che si prova nel fare le cose senza fretta. La linea dell'orizzonte, un merletto di ulivi già pronti per andare a dormire ma ancora capaci di asseconda