I camminatori varcano confini. Lo fanno in continuazione.
Oltrepassano linee che separano comuni, province e regioni, valicano curve isometriche, crinali, spartiacque, seguono sentieri che delimitano proprietà, che congiungono pascoli a boschi, borghi a campagne, che scortano fiumi e circoscrivono laghi, e nel loro indomito avanzare attraversano persino il tempo, dispiegando i loro passi negli invisibili varchi tra le stagioni, una dopo l'altra, nessuna esclusa.
Questo fine settimana non ha fatto eccezione.
È venerdì mattina presto quando i pullmini si riempiono disciplinatamente di adrenalina, speranze e bagagli. La chiacchiera parte arrembante – niente dà la carica come una vacanza – e così si ripassa il programma, si confrontano previsioni meteo, si gioca ad indovinare i menù. Ma come è normale che sia, qualche confine più in là, l’energia iniziale prende a calare, ora smorzandosi dolcemente, ora crollando di schianto, e i camminatori si quietano fino ad assumere le sembianze di barche sparse sulla rena dopo una mareggiata. Quando l’ultima onda di vitalità si ritira, dai sedili dei pullmini spuntano solo colli piegati in angoli fuori ordinanza, palpebre sigillate e bocche appena dischiuse, con pezzi di parole ormai mute ancora appoggiati alle labbra.
Il primo scrigno che apriamo è Padova.
La giornata scorre lieve tra le sue bellezze, come un battello su uno dei numerosi canali che solcano questa pianura. Molte le meraviglie visitate: l’Orto Botanico, Prato della Valle, la Basilica del Santo, l’antico Ghetto e altro ancora. Me le godo tutte, ma sento che nel mio cuore fanno breccia la grazia di Giotto, abbagliante e rivoluzionaria, la sala del Palazzo della Ragione, un immenso caleidoscopio che mi riempie di stupore e vertigine, e l’elegante ospitalità dei portici, architettura che si fa accoglienza.
Lasciamo la città ma la giornata è tutt’altro che finita, anzi, altre importanti frontiere ci attendono.
La visita agli amici veneti è già di per sé uno sconfinamento. Un gemellaggio è scambio, è inseguire la passione che unisce per mescolarsi, condividere, conoscersi; bisogna saper varcare confini per riuscirci e in questo i camminatori sono campioni indiscussi. Se poi il campo di gara è anche una tavola dove gli attrezzi sono polenta, bigoli, salsicce, torte e vino il risultato è facilmente prevedibile.
La visita agli amici veneti è già di per sé uno sconfinamento. Un gemellaggio è scambio, è inseguire la passione che unisce per mescolarsi, condividere, conoscersi; bisogna saper varcare confini per riuscirci e in questo i camminatori sono campioni indiscussi. Se poi il campo di gara è anche una tavola dove gli attrezzi sono polenta, bigoli, salsicce, torte e vino il risultato è facilmente prevedibile.
Sabato albeggia luminoso.
Il confine che ci aspetta oggi è un tratto della linea del fronte della Grande Guerra. Ivo manovra con maestria i comandi di un’invisibile macchina del tempo. Sui sentieri di questo versante dell’altopiano dei Sette Comuni, l’orologio torna per un giorno a cento e più anni fa. Grazie a lui, al suo inesauribile sapere e alla vibrante passione con cui lo dona, mi è facile intravedere i soldati che si fronteggiano, sentire gli incessanti scoppi delle granate e il peso opprimente di certe decisioni che la Guerra obbliga a prendere, mettendo improvvisamente nelle tue mani il destino tuo e di altri come te.
Ma non è solo la solenne cupezza della Storia a tenere banco. Quando i nostri sguardi tornano al presente la Natura si mostra con indosso la Primavera, il suo abito della festa. Fiori, giovani faggi, abeti rossi, profili di monti vestiti di pascoli e boschi, e più distanti, cime innevate che si strofinano contro nuvole che corrono frettolose chissà dove. Una gioia per gli occhi e per lo spirito. Mentre rientriamo in albergo assaporo il meraviglioso senso di appagamento che giornate come questa mi lasciano sempre (avevo scritto sazietà ma poi mi sono ricordato del tête-à-tête che ci attendeva con Sua Maestà il Baccalà e il pudore mi ha corretto le bozze).
Seguendo un copione senza sbavature, dopo pianure e montagne ecco le colline. O meglio, pardon, i colli, i Colli Euganei. Con quella forma mi fanno subito simpatia, mi sembrano uno scherzo che dispettosi vulcani hanno voluto fare alla Pianura, sicuramente operosa ma forse per i loro focosi temperamenti un po’ troppo monotona nelle sue geometrie.
Rispetto alle montagne del giorno precedente i Colli sono bassi, ma le loro pendenze si fanno rispettare, altroché, un po’ come quei cagnolini che abbaiano minacciosi a tutte le caviglie che vedono passare. Dai loro profili lo sguardo può spaziare lontano e ne approfitto spesso. All'ora di pranzo giungiamo alla meta, riccamente addobbata per i saluti finali.
Il commiato è perfettamente intonato a questi tre giorni meravigliosi e in questa atmosfera scoppiettante valico anche l’ultimo confine della vacanza: il vino bianco, quello rosè e quello rosso si danno appuntamento nel mio cervello e dopo aver invitato del genepì (mancava solo quello!) danno il via ad una festa non autorizzata. È allora che mi sento scivolare inesorabilmente al di là della linea che separa ciò che è sotto controllo da ciò che non lo è, o per lo meno non proprio del tutto. Non ho neppure il tempo di cominciare a preoccuparmi delle possibili conseguenze che un “… mazzolin di fioriiiiiii …” mi travolge come un fiume in piena. Ok Andrea, è evidente che non sei solo, perché opporre resistenza? Quando ci incamminiamo verso i pullmini, dentro di me arde vigoroso un fuoco mentre fuori la mia pelle è raggelata dalle aspre carezze del vento: in pratica, mi sono trasformato in un caffè Pedrocchi vivente.
Ringrazio di cuore tutti coloro che hanno reso possibile questa gioia e abbraccio uno per uno gli amici sconfinatori veneti.
Un’ultima perla: per tre giorni abbiamo alloggiato in un paese il cui nome significa confine! Che impeccabile regia, è proprio vero che i professionisti si distinguono per la cura dei dettagli, chapeau!
AF
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