Quando qualche giorno fa ho letto il volantino di presentazione dell'escursione ho immediatamente sentito la pigrizia che alberga in me soffermare la lente di ingrandimento sull'orario di ritrovo - istantaneamente tradotto nella dolorosa ora in cui avrei dovuto puntare la sveglia - sulla lunghezza del percorso e del tragitto in auto. Funziona così la mia pigrizia, non mi affronta in campo aperto, non mi fissa impavidamente negli occhi mentre sostiene le sue istanze, no, al contrario, appare e scompare silenziosa lasciando subdolamente sul terreno dietro di sé dubbi, piccole paure, disagi veri o apparenti e una serie di "per carità, poi vedi tu, ma dipendesse da me ci penserei bene ..." posizionati strategicamente in modo da farmi vacillare fino alla rinuncia. Fortunatamente quello che la mia pigrizia non ha ancora capito (o che ha ormai saggiamente accettato) è che dal momento che ci frequentiamo da diversi decenni, così come lei conosce me, io conosco lei e che di conseguenza (volendo!) sono in grado di uscire indenne dai campi minati dalle sue astuzie.
Una cosa che, invece, tutto intento com'ero a evitare i suddetti trabocchetti, non avevo inteso dal volantino è che l'escursione attraversasse un regno di fiaba. Quando parcheggiamo, il cielo sopra di noi ha appena congedato le nuvole che ci hanno fatto compagnia per tutto il viaggio; un benvenuto che ci mette allegria e voglia di metterci in marcia. Cominciamo a salire, oggi il dislivello è decisamente più gagliardo del solito, alla volta della stazione di Fornello, sulla ferrovia che collega Firenze e Faenza.
Il sentiero esce dall'abitato di Gattaia ed entra nel bosco, che non abbandonerà fino alla fine del giro. Il percorso è comunque molto luminoso, gli alberi, tutti latifoglie, sono ancora spogli e i raggi del sole, ormai decisamente primaverile, ci obbligano presto a riporre i giacchetti negli zaini.
Via via che ci inerpichiamo il sottobosco si anima e si colora di moltitudini di fiori. Cominciano con il fare capolino avanguardie di piccoli anemoni selvatici seguiti poco dopo da viole mammole, qualche crocus ed infine, dalle allegrissime primule. I giovani fiori si fanno largo nello spesso tappeto di foglie secche srotolato dall'autunno a protezione della terra con la tipica baldanza che hanno le nuove generazioni quando sentono che è finalmente venuto il loro momento.
Su suggerimento di Andrea prendiamo la deviazione per la cava, anch'essa dismessa da tempo come la stazione. Le testimonianze del passato, pur consumate dal tempo sono ancora molto eloquenti. Colpiscono particolarmente la nostra attenzione i carrelli utilizzati per portare il materiale estratto fino alla ferrovia dove veniva, ipotizziamo noi, caricato su appositi vagoni. In particolare, fatichiamo non poco a convincere il Presidente che i simpatici carrelli non sono propriamente giostre ma alla fine il suo irrefrenabile divertimento ha la meglio sui nostri paternalistici brontolii.
Scesi dalle giostre, raggiungiamo la stazione di Fornello che ora non accoglie più viaggiatori ma che continua ad assistere al passaggio dei moderni treni che tuttora transitano su arditi viadotti, dentro gallerie o in brevi tratti a cielo aperto, puntualmente salutati da rami di faggi. Ne passa uno proprio mentre siamo davanti alla stazione; mi fa uno strano effetto, come di un macchina che viaggia indietro nel tempo.
All'inizio di questo racconto, con un'abile mossa presa in prestito dalla mia pigrizia, ho lasciato cadere tra le righe la parola regno. Di alcune delle sue meraviglie ho già detto e a questo punto immagino sia lecito da parte vostra chiedere chi è il Re. La sua voce si è fatta sentire presto, frizzante controcanto ai cinguettii e ai trilli dei numerosi pennuti, ma lui si è palesato solo dopo un po', come si conviene ad una personalità di rilievo. Infatti, solo quando il sentiero ha raggiunto il fondo della gola Re Muccione si è mostrato in tutta la sua aristocratica eleganza: un torrente dal letto interamente in pietra, un'interminabile scalinata di levigati gradini, ognuno dei quali dà vita a una cascata, tutte di altezze diverse.
Spesso, terminato il salto, le acque si raccolgono in pozze profonde e trasparenti i cui fondali, iridescenti, cambiano camaleonticamente il proprio colore prendendolo in prestito ora dal cielo, ora dalle foglie, ora dal muschio che ricopre le pietre rimaste all'ombra durante l'inverno.
Re Muccione ci ha accolto amichevolmente, consentendoci di guadarlo tutte le volte che il sentiero lo attraversa per assecondare i pendii che lo costeggiano. I profili dei monti che incorniciano il regno di Muccione sono ricoperti di faggi sui cui rami milioni di gemme aspettano frementi che la Natura dia il via alla grande festa di Primavera, quando insieme si trasformeranno in un immenso mantello verde.
Dopo il pranzo, iniziamo la seconda parte del giro, che ci consentirà di apprezzare dall'alto il percorso fatto al mattino e, sul versante opposto, la piana del Mugello. Sappiamo che il sentiero ad un certo punto comincerà a scendere e, sarà per la stanchezza che nel frattempo ha cominciato a farsi viva, in cuor mio ne sono contento. Peccato però che questo momento tarda un po' ad arrivare; sento battezzare almeno una mezza dozzina di salite come "quella è l'ultima e poi si scende". Cerco di convincere il mio morale ad essere fiducioso, che prima o poi succederà per davvero e infatti, dopo un ultima curva il paesino di Gattaia si svela ai nostri occhi. Curiosamente ad accoglierci troviamo solo cani, ma forse è l'umorismo tipico di queste parti e io sono troppo fiacco per capirlo.
Ringrazio gli organizzatori, in particolare Andrea e, ovviamente, Re Muccione per la squisita ospitalità.
AF
Grazie Andrea, sei riuscito a descrivere la giornata in modo eccelso.
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