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Quella sporca dozzina (di gradi)

Non fatevi ingannare dal titolo, non è stato un fine settimana freddo.
Tutt'altro. 

Certo il destino (per chi tra voi crede nell'esistenza di un Disegno che ci guida e comprende tutti), si è dato da fare non poco per convincerci che lo fosse. 

 
Per iniziare, il venerdì mattina, ha fatto il solletico alle nuvole - notoriamente il loro punto debole - finché queste, arrendendosi a tanta giocosa sfrontatezza, hanno preso a lasciar cadere fiocchi di neve sempre più paffuti sul nastro di asfalto che porta al punto di ritrovo della comitiva, proprio quando questo inizia a farsi più ripido e tortuoso. Me lo immagino, il destino, che ci spia divertito mentre, nonostante il furioso dispiegamento di tutta la tecnologia tascabile a nostra disposizione e l'aiuto di due carabinieri tanto volonterosi quanto male in arnese, riusciamo nella difficile impresa di parcheggiare le nostre quattro autovetture in ben tre posti diversi, neppure tanto vicini tra loro.
Ma si sa, quando il gioco si fa duro, eccetera eccetera, e così si parte, prima un gruppo, poi, quando le tre amiche scatenate (letteralmente, per una volta non è una metafora) raggiungono il Brogiotti, anche l'altro. 
Scopriamo presto che la strada su cui ci siamo incamminati porta dritto dove abita l'inverno.
 
 
I colori poco alla volta escono di scena. La natura ora è vestita solo di bianco e di nero ma, in tutta onestà, non perde nulla del suo fascino. Intorno a noi, nessun suono. La neve, diligente, assorbe ogni eco così che il silenzio sia ancora più puro. Mi sorprendo a respirare piano, per paura di disturbare.
La salita procede regolare. Incrociamo l'arrivo di una pista di sci, oggi solcata da pochi temerari, e un rifugio, che a breve li sfamerà.


Al termine di uno strappo sul fianco di una delle tante gobbe che sagomano queste montagne alzo lo sguardo e intravedo una macchia promettente: mi sa che è il nostro rifugio. Mi concedo un attimo per gustarmi quella scintilla di soddisfazione che, puntuale, mi percorre ancora quando in montagna raggiungo una meta, quindi entro. 
Strano, mi viene da pensare, manca qualcosa. Di solito quando attraverso la porta di un rifugio e la richiudo alle mie spalle lasciando fuori  l'inverno, il suo alito caldo, un bouquet di odori difficile a trovarsi altrove, mi risucchia con la sguaiata confidenza di un amico di gioventù. 
Questa volta non è successo nulla di tutto ciò. 
Poi, improvvisamente, un lampo mi attraversa (mi gela mi sembrava troppo didascalico) la mente: "Ah già! L'aveva scritto il Brogiotti, la caldaia è rotta!". Resisto alla tentazione di cercare su Google il nome del santo protettore dei caldaisti per intonargli un lungo e accorato canto e poggio lo zaino a terra, unica cosa che mi sento di togliermi di dosso.
Ci viene incontro Antonio, il rifugista. Sarà per via dell'inverno o per il suddetto guasto all'impianto, ma anche lui non emana particolare calore. Occupiamo lo stanzone multifunzionale alla spicciolata, scambiandoci occhiate in bilico tra lo sbigottimento e la ricerca di reciproco conforto oltre a segnali di fumo che emettiamo con la bocca, semplicemente respirando. Di lì a poco, la compagnia si allarga, al gruppo degli 11 si affianca quello dei 9, cifre che indicano il numero dei loro membri ma anche, sinistramente, le temperature della zona notte e del bagno. Ingrossano le fila degli umani due cani: uno ospita, l'altro alberga.
Questa volta sono io che sorridendo immagino il destino passare, nel volgere di poche ore, da uno stato di tronfia soddisfazione a quello di un'ira impotente. Non credo proprio che avesse previsto che ci saremmo fatti un baffo delle sue imboscate armati solo di qualche polenta e di un'incrollabile voglia di divertirsi. Certo, il primo giorno il problema della temperatura c'è stato, eccome se c'è stato, ma alla lunga si è dimostrato, come dicono i manager, un'opportunità. Abbiamo giocato, tanto, sfruttando l'offerta di giochi di società del rifugio, ma anche inventandone di nuovi. In assenza di una scacchiera infatti, ogni membro dell'allegra brigata ha trasformato i propri scarponi, guanti e cappelli in altrettanti torri, cavalli e alfieri e, mossa dopo mossa, per due giorni e due notti ha dato scacco alla Grande Regina, una stufa a pellet che non ha respinto nessuno ma che ha avvisato i più sfrontati (focosi mi sembrava ...) diffondendo rade e impercettibili fragranze di gomma bruciata subito colte dal simpatico Antonio che, senza ombra di dubbio, in una delle sue vite precedenti era un cane da tartufo.
E poi è venuta la notte. 
La camerata, confesso, mi mette ancora tanta allegria; evoca birbanterie giovanili, aguzza l'ingegno agli spiritosi, accorcia le distanze tra i suoi abitanti e molto altro ancora. 
Non so quanto sono rimasto sveglio prima di riuscire ad addormentarmi, sicuramente molto, ma ne è valsa la pena. Non capita tutte le notti di ascoltare la sfida tra due autentici campioni dell'imitazione sonora involontaria. Non ho riconosciuto tutti i numeri presentati, ma qualcuno mi ha sbalordito. In ordine sparso: il C130 turboelica in volo radente, i muratori mentre  ristrutturano il bagno della vicina del piano di sopra, il carro armato sovietico T72 in retromarcia e, il gran finale, un porcello a cui hanno appena detto che sono arrivati i parenti del fattore, che hanno fame e che il prosciutto è finito.


La mattina seguente, la luce che filtra dalle finestre ci regala sorrisi e speranze.

Le mie mani armeggiano con la tazza di latte e i biscotti, ma i miei occhi sono incollati alle finestre. Il destino si è arreso, o almeno così mi sembra. Fuori è un incanto. Luci e ombre giocano a nascondino, la cupola blu cobalto del cielo armonizza con tutto ciò che sta sotto di lei.
L'escursione percorre un crinale dal quale ad un certo punto riconosco, in un solo colpo d'occhio, le montagne della mia infanzia, Resegone e Grigne, della mia gioventù, il Monte Rosa, del mio presente, gli Appennini e l'Amiata e, a ovest, persino la Corsica. Stento a credere sia possibile vedere tanto mondo in una volta sola, roba da Giulio Cesare o Napoleone.

 


Sulla strada del ritorno dalla croce sul Corno alle Scale improvvisamente una voce rimbalza di bocca in bocca, incontenibile: "Hanno aggiustato la caldaia!". Fulminea e insolente, l'immagine di me in bermuda e infradito su una spiaggia di polenta e funghi fa capolino nella mia mente; subito l'accartoccio imbarazzato, ma un sorriso complice mi rimane spalmato sulla faccia.
Anche il secondo pomeriggio mette in scena il divertente copione del primo. Dopo pranzo si gioca fino a cena con nuovi amici come da bambini quando è estate e non c'è scuola: fantastico, cosa chiedere di più a un fine settimana?
 
Questa volta la notte fila liscia, anche i campioni dormono silenti ogni tanto. Davanti al rifugio, la mattina della domenica, gli 11 e i 9 si salutano caldamente, quindi si separano e prendono la strada verso le rispettive auto; in cuor mio, riparto un po' a malincuore. C'è però ancora il tempo di sentire quanto soffia forte il vento da queste parti quando fa sul serio 
 
 
e di vedere i colori del bosco, bellissimo anche nella stagione in cui riposa.


Ringrazio con tutto il cuore gli organizzatori, i vivacissimi compagni di viaggio e ... il caldaista.

 
Alla prossima!

AF

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