Ci sono poche cose importanti nella vita di cui non ci si ricorda la prima volta che lo si è fatto.
Una di queste è camminare. Semplicemente non è possibile, succede sempre quando siamo troppo piccoli.
Ricordo però benissimo le emozioni dipinte sul volto dei miei figli nel preciso momento in cui hanno tagliato quel traguardo: incredulità, gioia pura, e quello sforzo, quella tensione, così necessari per tentare di controllare quell’evento prodigioso, per assicurarsi di essere capaci di rifarlo, ogni volta che lo si vorrà, di essere padroni di mantenere da soli la posizione eretta mentre i piedi si avventurano spavaldi in avanti, e le mani, finalmente libere, fluttuano nell’aria alla ricerca dell’equilibrio, smaniose di prolungare quel miracolo ancora e ancora.
Da quel momento gli spazi, anche i più familiari, si trasformano: il fatto di poterli esplorare da soli gli conferisce un fascino nuovo. Raggiungere diventa inebriante, qualsiasi sia la meta. Ora basta desiderarlo e lo si fa, e la vittoria è garantita.
Dopo le prime ubriacature di piccoli passi però, il miracolo scade rapidamente a prassi. Camminare diventa normale, un’azione come le altre, anzi, funzionale alle altre, quelle che nel frattempo sono diventate più importanti. Bisogna camminare per arrivare allo sportello che custodisce le caramelle, per recuperare un pallone che improvvisamente prende a rotolare lontano perché in spiaggia si è alzato il vento, e persino per raggiungere mamma o papà nel tentativo di farsi prendere in braccio così da smettere di camminare, ché ora che lo so fare un po’ stanca.
Ma poi viene il giorno che per la prima volta si esce di casa da soli e camminare è di nuovo una rivoluzione, quell’azione così scontata torna a rappresentare indipendenza, libertà, addirittura. E così scelgo dove andare, quando andare, con chi andare a camminare. E sì, perché, camminare con qualcuno è molto più bello che camminare da soli. Con gli amici, o magari con quella tipa che ho conosciuto quest’estate in vacanza. Ecco, quando mi prende la mano lei camminare diventa pazzesco, non smetterei mai.
E questo perché camminare non è solo andare da qualche parte, transitare.
Se ascolti con attenzione, puoi sentire che quelle stesse emozioni che sprigionavano i tuoi giovani passi sono ancora tutte lì. Forse non era solo il momento o la situazione a rendere bella quella passeggiata, ma, in alcuni casi almeno, la situazione era bella perché stavo passeggiando. Forse un po’ di magia sta proprio nel camminare.
Come è possibile? Non è una domanda facile, come tutte quelle le cui risposte sono custodite nelle nostre profondità. Ho provato comunque a rispondere e alla fine questa è l'idea che mi ha convinto di più: solo quando cammino mi sento per davvero nel posto dove sono. Innanzitutto, è lì il mio respiro. Lo sento armonizzarsi con il contesto e avverto anche tutti i miei sensi partecipare attivamente. Via via che il cammino procede le immagini dei panorami vengono arricchite da odori, suoni e dalla sensazione che provoca l’aria quando accarezza la pelle.
Mi verrebbe quasi da dire: “Ambulo ergo sum!”
AF
Commenti
Posta un commento